Kurt Schwitters, il Dada che si credeva un bassotto

 

Tratto da "La Stampa" del 17/11/2009


Cherry PIcture, 192, del dadaista Kurt Schwitters

FRED UHLMAN

Al dadaista Kurt Schwitters è dedicato il numero 29, in uscita in questi giorni, della rivista Riga, edita da Marcos y Marcos. Comprende una selezione dei suoi scritti più importanti e un’ampia antologia di testi dei suoi maggiori studiosi. In occasione della mostra di Schwitters al Centre Pompidou di Parigi nel 1994, il catalogo riportava il ricordo di Fred Uhlman, che lo conobbe durante l’internamento in Gran Bretagna nel corso della Seconda guerra mondiale. È inedito in Italia, ne pubblichiamo una parte, nella traduzione di Luigi Grazioli.

Schwitters era grande, grosso e largo di spalle. Aveva una bella testa che ricordava quella dell’attore tedesco Gerhardt Hauptmann. I suoi calzini erano talmente pieni di buchi che era difficile sapere se li portasse o meno. Portava grosse scarpe che sembravano troppo grandi persino per lui, e la sua andatura mi faceva pensare a quella di un contadino che porta una cesta pesante. Diceva di essere fuggito dalla Norvegia portando con sé una coppia di topolini bianchi, troppo preziosi per essere lasciati in mani tedesche. Un giorno si fermò davanti a un granaio per raccogliere qualche chicco di grano per sé e per i suoi topolini. All’improvviso le pistole di un gruppo di norvegesi che sorvegliavano un cavo elettrico che attraversava la costruzione gli furono puntate contro, e solo la presenza dei suoi topolini lo salvò da una morte imminente. I norvegesi ritennero che era poco probabile che una spia tedesca potesse andare in giro con dei topolini in tasca, e così lo lasciarono fuggire in Inghilterra, dove i suoi topolini e lui furono messi in quarantena.

La prima volta che lo incontrai, alloggiava in una mansarda del nostro campo. I suoi collages, appesi ai muri, erano fatti con pacchetti di sigarette, alghe, conchiglie, pezzi di tappo, di cordicella, di fil di ferro, di vetro e di chiodi. Qua e là si ergevano alcune statue; erano fatte di porridge, il materiale più effimero conosciuto dall’umanità, che esalava un debole ma nauseante odore e aveva il colore del formaggio: di bleu danese ben fatto o di roquefort.

Sul pavimento c’erano piatti, pane raffermo, formaggio e altri resti di cibo e, tra di essi, dei grossi pezzi di legno, in gran parte gambe di tavoli o di sedie rubati nelle nostre case, che usava nella costruzione di una grotta attorno a una piccola finestra. C’erano anche un letto, un tavolo, e forse anche una sedia, in questa stanza di cinque metri per due. Lo spazio restante era occupato da quadri di ogni sorta, eseguiti sul linoleum del pavimento, in mancanza di ogni altro materiale. Per questo scopo, Schwitters aveva sempre con sé un coltello affilato e, spesso, l’ho visto tagliare con cura un bel riquadro di linoleum nella casa di qualche disgraziata isolana.

Una sera stavo andando a trovarlo - come facevo spesso perché in quel periodo dipingeva il mio ritratto -, quando sentii dei latrati feroci che venivano dalla zona in cui alloggiava, cosa che mi sorprese, dal momento che cani e donne erano vietati nel nostro campo. Quando entrai vidi una scena straordinaria. Al pianterreno, un uomo d’affari viennese di una certa età abbaiava verso la cima delle scale, dove era appollaiato Schwitters, che a sua volta abbaiava con tutte le forze. L’uomo d'affari aveva un latrato profondo come quello di un bulldog inglese, mentre Schwitters preferiva quello di un bassotto tedesco. Bau-bau!, abbaiava il bulldog. Bau-bau-bau!, rispondeva il bassotto. Bau-bau-bau-bau!, abbaiava l’uomo d’affari. Bau-bau-bau-bau-bau!, rispondeva Schwitters con furore.

Il confronto proseguì un bel po’ in un crescendo spaventoso, fino a quando i due uomini non se ne stancarono. L’uomo d’affari andò a mettersi a letto come è normale per gli uomini d’affari, ma Schwitters, essendo - mi arrischio a suggerirlo - piuttosto incerto del limite dove finiva il regno umano e cominciava quello animale, si ritirò in una cuccia che aveva approntato per lui e per il bassotto che era in lui. Aveva messo sul suo tavolo alcune coperte, vi aveva spostato sotto il suo materasso, e muovendosi a quattro zampe entrò nella cuccia per dormire, ciò che rappresentava comunque uno sforzo considerevole, grande e grosso com’era. Lo vidi spesso nella sua cuccia e non mancava mai di addormentarsi senza mormorare dolcemente un ultimo bau-bau-bau.

Era il più meraviglioso dei narratori. Abbelliva le sue storie con la massima cura. La sua voce era dolce e, nella sua bocca, la lingua tedesca, che può sembrare rude e gutturale, diventava ricca e melodiosa. Quando fece la sua prima serata Dada era piuttosto inquieto sul modo in cui sarebbe stata accolta. Temeva una ripetizione delle scene brucianti degli inizi degli anni Venti, ma, con sua grande sorpresa, tutti i numeri furono accolti da applausi frenetici. Il povero Schwitters aveva dimenticato fino a che punto era cambiato il mondo dopo il 1917, tutti ora conducevano una vita surrealista. Dopotutto, cosa poteva esserci di più dada di duemila «stranieri nemici» che pregavano per la vittoria del «nostro grazioso re Giorgio VI e della nostra graziosa regina Elisabetta?».

Ricordo un certo numero delle sue storie, per esempio quella dell’enorme pietra nera che una volta aveva trovato nell'Hannover dopo una giornata di pioggia. Al sole la pietra riluceva e scintillava come un meraviglioso diamante nero. La portò all’Accademia delle Belle Arti, la mise su un fornello, poi la dimenticò completamente. Uscì un momento e, mentre tornava verso l’Accademia, vide passare a gran velocità dei carri di pompieri. Nubi di fumo nero uscivano dalle finestre, il direttore camminava avanti e indietro con il pugno teso e gridava: «Das Schwein! Das Schwein! Se prendo il porco che ha messo del catrame sul fornello!». (...)

C'era anche una poesia che recitava continuamente. Era intitolata Leise (Dolcemente). Cominciava a recitarla sussurrando «dolcemente, dolcemente». Un po’ alla volta aumentava il volume del suono, «dolcemente» diventava sempre più forte fino a raggiungere una formidabile intensità e a esplodere in un grido selvaggio. In quel preciso momento, egli afferrava una tazza o un piattino e la scagliava al suolo mandandola in mille pezzi. Questa «poesia» aveva sempre un grande successo. Molti anni prima l’aveva recitata per un tempo interminabile tra i tavolini del Deux Magots alla presenza di Tzara e Breton... fino a che non intervenne il proprietario del caffè. (...)

È morto in miseria nel 1947. Negli ultimi tempi cercava di vendere i suoi collages a una sterlina l'uno. Appena morto, i mercanti d’arte cominciarono a acquistare anche i più piccoli frammenti delle sue opere su cui potevano mettere le mani e ogni tanto una voce mi chiede al telefono: "Nessun Schwitters da vendere?". I suoi collages, mi hanno detto, valgono ora dalle tre alle quattrocento sterline e il loro prezzo continua a salire; diventano sempre più dada ogni giorno che passa. Mi chiedo cosa ne avrebbe detto il povero Schwitters. Bau-bau-bau, suppongo.

L’autore dell’«Amico ritrovato»

Fred Uhlman(1901 – 1985 è stato uno scrittore, pittore e avvocato tedesco Nel 1971 pubblicò la sua opera più famosa: il romanzoL’amico ritrovato tradotto in 19 lingue da cui fu tratto nel 1989 l’omonimo film di Jerry Schatzberg.

Creava le sue opere con oggetti e rifiuti
Kurt Schwitters (1887 – 1948) è stato unpittore e artista tedesco che ha attraversato varie avanguardie fra cui il dadaismo, il costruttivismo, il surrealismo. I suoi collages e le sue opere , realizzate assemblando «detriti» e oggetti d’uso quotidiano anticipano lemoderneinstallazioni

Cani a zampa corta, ricercatori ne scoprono l'origine genetica

Cani a zampa corta, ricercatori
ne scoprono l'origine genetica (tratto dalla Stampa del 19 luglio 2009 (qui il link all'articolo originale)
Bassotti e corgi nati da un difetto, i risultati utili per studiare il nanismo umano
ROMA
Questione di statura, ma prima ancora di geni: un singolo evento evolutivo sembra poter spiegare perchè cani come i bassotti, i corgi, i basset hound o esemplari di altre 16 razze diverse hanno le zampe corte. E devono guardare dal basso i loro "cugini" alani o dobermann. Lo hanno scoperto gli esperti del National Human Genome Research Institute (Nhgri) americano, secondo cui i dati raccolti contribuiranno a capire meglio come le differenze fisiche possono emergere fra le varie specie, suggerendo anche nuove evidenze per comprendere il fenomeno del nanismo fra gli umani.

In uno studio pubblicato online sulla rivista ’Sciencè, i ricercatori guidati da Elaine Ostrander hanno esaminato campioni di Dna provenienti da 835 quadrupedi, inclusi 95 dalla zampa corta. Analizzando la presenza di oltre 40 mila marcatori diversi, sono riusciti a individuare una ’firma geneticà propria esclusivamente delle razze canine meno ’slanciatè. Andando avanti con il sequenziamento del Dna e le analisi computazionali, si è riusciti a evidenziare che un singolo evento mutazionale del genoma canino, avvenuto durante l’evoluzione di questi animali, ne ha accorciato gli arti.

In particolare, al contrario di tutti gli altri cani, gli esemplari di razze a zampa corta possiedono una copia extra del gene (chiamata retrogene) che codifica per una proteina che promuove la crescita, chiamata Fgf4. E questo difetto si è generato quando il cane si è diversificato dal lupo.

«Ogni specie, compresa quella canina e quella umana - spiega il direttore scientifico del Nhgri, Eric Green - porta scritto nel proprio Dna un impressionante numero di evoluzioni, che ci possono insegnare tanto sul modo in cui sono cambiate durante i secoli».

Gli scienziati sono però rimasti sorpresi dal fatto che «un singolo retrogene inserito in una determinata porzione di Dna, in un preciso periodo dell’evoluzione - sottolinea Heidi Parker, una delle autrici dell’indagine - possa aver portato a cambiamenti così importanti dei tratti fisici di un animale». E quello offerto da questi cani è la prima dimostrazione scientifica di come questo, in realtà, possa davvero accadere.

La ricerca potrebbe anche avere delle implicazioni nella comprensione della biologia umana: i ricercatori fanno notare che alcune persone sono affette da un disordine della crescita simile a quello ormai tipico di alcune razze canine. Ma mentre due terzi dei casi di nanismo umano sono stati collegati a un gene mutato, la causa dell’altro terzo rimane un mistero. «Questo studio rivela la presenza di un nuovo gene che dovrà essere studiato anche per il suo possibile ruolo nel nanismo umano - dice Ostrander - il nostro lavoro potrà servire per questo e per evidenziare ancora una volta come meccanismi biologici che avvengono nei cani possano essere utili anche per capire meglio malattie umane».

 

ADESSO CHE SONO IL CANE DEL MIO CANE
di Reynaldo Gonzalez


Là in fondo l'impavida linea dell'orizzonte. Intorno a me le tue due grandi orecchie da farfalla, spensierate, portavano l'allegria tra le scogliere della costa. Cosa inseguivi? Cosa annusavi? Di quale luce ti innamoravi? Un giro, e già inauguravi il gioco con bambini benevoli, dialogo che ha disegnato la tua vita e ogni infanzia nel quartiere, tra palme di cocco e il persistente odore del mare. Per un momento, sconcertato, latravi alla promessa di una vela che alterava la monotonia delle onde. Ma ti riconsegnavi al gioco. Ribattevi la palla. Cercavi i tuoi amici nei loro nascondigli e correvano, per sempre compagni in un gioco che anche loro ricordano come sorriso indimenticabile.

SCINTILLE AZZURRE Se non c'erano ostacoli per i tuoi salti nel giorno, nella notte accarezzando esigevi carezze.  Restavi assorto.  Guardavi dove, che cosa, come se scrutassi nel cielo la traiettoria della costellazione dalla quale ho preso il tuo nome.   Orion, che tempi tanto lenti quelle notti, quando mi seguivi sulla terrazza e facevi finta di essere distratto, per non far vedere che ti preoccupava la mia insonnia. Non potevo dire se quelle scintille azzurre riflettevano la tua immensa piccolezza nel firmamento, o se tu, tanto incollato al suolo, ti mantenevi terreno e allerta perché le stelle non perdessero la loro ingravidità colpevole di illusioni e poemi. Io ringraziavo la tua pazienza per la mia veglia, e che potessi, senza sforzo, comprendere tutto il mondo nel comprensivo brillio dei tuoi occhi.

LATRATINI TENUI  Perché chiedi se sono passati le lune e i giorni. Ieri, tra sogni e sospiri pareva che ricordassi tutto quello che hai vissuto. Latratini tenui hanno animato la notte. La tua coda, ormai lenta, ha improvvisato un omaggio a tanta luce di prima. Hai alzato la testa e hai guardato senza vedere, da quel panno azzurro che con ostinazione mette fine al presente e ti sommerge nel passato lontano. E sei tornato ai mormorii del tuo sogno. Ho pronunciato il tuo nome, ma a bassa voce, quella che ormai senti appena. Ho auscultato il tuo riposo e come una nebbia di riflesso è passata nel mio ricordo la tua esistenza. La sorpresa di Elettra in casa cambiò la tua vita. Il turbinio della sua civetteria, altri giochi e l'ecclosione di innumerevoli cuccioli dispersi nel mondo. E quel dispetto - prendiamolo come un capriccio - di abbandonarci così in fretta per restituirti a un'età che avresti voluto sfuggire. Improvvisamente eri un vecchietto vedovo, con la sola compagnia di un padrone che aveva più bisogno di te di quanto di te non si curasse. RECLAMI AMORSI

Ammiro la tua discrezione. Perfino negli acciacchi che ti estinguono, mi compatisci e accompagni e ti prendi cura di me. Niente con tanta dolcezza, fedeltà, e calore. Niente meno capace dell'oblio e del tradimento. Che ironia dire che sono il tuo padrone quando dolcemente mi tiranneggi con reclami amorosi. Mi conosci e perdoni e compensi. Che pietà senti per me che ti impedisce di preoccuparmi e fa tacere i tuoi dolori. La tua tristezza sfuma nel movimento della coda. Impari a fare di ogni occasione una festa.  Adesso che ti avvicini lentamente alla tua ombra, con la quale hai sostenuto tenaci combattimenti saltellanti, dal tuo procedere stanco, hai bisogno di me. Io, che tanto ho avuto bisogno di te e avuto, come potrei non rispondere alla tua silenziosa supplica. Lascia che molti non capiscano perché quando chiamano alla porta e non senti ma hai il dubbio di non avere sentito e mi guardi interrogativo, io faccio un piccolo gesto per metterti in guardia e che sia tu, autorizzatamente tu, che mi avvisi che hanno bussato alla porta.

DOPO LE CAREZZE E IL PRANZOPoi tutto succede come previsto: impettito, vai davanti, noblesse oblige, per qualcosa sei il cane di casa. Con studiata lentezza da padrone ti do il tempo per arrivare per primo. Celebro il fatto che tu continui ad essere un efficace esploratore del bene e del male. Se ti scontri con un mobile che è rimasto quasi immobile, ma che improvvisamente non vedi più, cosa mi costa rimproverare gli assenti per averlo messo fuori posto. Guarda un po' che cattivi, farti questo dispetto. Capisci così che non è la tua goffaggine, ma la loro, la causa di questi ormai ripetuti incidenti. La vita continua come se tu la vedessi, la sentissi e fossero agili le tue zampe per rispondere all'istinto di guardia che tanti complimenti ti avevano procurato. Niente impedirà che si compiano questi riti.Se dopo le carezze o il pranzo vuoi ripetere la danza di un tempo e vai tutto storto a finire contro quella stupida pianta, a quell'ottuso soprammobile che qualcuno ha lasciato fuori posto, io sono lì apposta per porvi rimedio, rimproverare, prevenire. Non arrabbiarti. Seguirai il tuo ritmo e le tue abitudini fino all'ultimo sospiro. Allora, come nel sogno, passerai dalla realtà ai giochi, sorriderai con la coda, lancerai un piccolo latrato che immagini potente, e muoverai tutta la luce del mondo nelle tue grandi orecchie da farfalla. Sarò al tuo fianco. Dopo tutto, noblesse - la tua - oblige, e devo imparare ad essere il cane del mio cane. Voglia il cielo che possa darti la metà della dolcezza, la pazienza e la gentilezza che mi hai offerto senza fatica.La Habana, 22 giugno 1985